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EMOZIONI IMMOBILIARI 

Corto teatrale 

di e con Valentina Conti e Matteo Paino 

Produzione Officine Teatrali il Pazzo e la Luna 

Sinossi: 

Una ragazza cerca casa in città, ma viene messa davanti ad una realtà cruda e grottesca: appartamenti angusti, improvvisate abitazioni decadenti a prezzi ben al di sopra, non solo del loro valore, ma anche delle sue possibilità economiche. 

Con stupore, la donna sarà sopraffatta da un sedicente agente immobiliare, personaggio traffichino e sopra le righe, che le proporrà situazioni al limite dell’assurdo, portandola a riflettere sulla sua quotidiana precarietà. 

Note di regia: 

Il tema iniziale è la casa, intesa sia come diritto all’abitare, spesso negato e dimenticato, ma anche come aspirazione: quell’ “andare a vivere da soli/e” che è simbolo di crescita e di affrancamento dal nucleo familiare e che dovrebbe rappresentare l’inizio della vita adulta. 

L’impianto scenico, al momento, è essenziale: tutto si svolge all’interno dello schema a caselle tratto dal gioco della campana. L’idea è quella di rendere, attraverso un gioco d’infanzia basato sul disequilibrio e il raggiungimento degli obiettivi, quel contrasto tra i sogni e la realtà della vita quotidiana, al limite del sostenibile. 

Lo stile dei due personaggi ammicca, nel bianco e nero dei costumi e del trucco e nell’innaturalezza espressiva, al cinema tedesco degli anni venti del Novecento. I ritmi e i dialoghi sono però serrati e il linguaggio è fortemente contemporaneo. 

Idea progettuale: 

“Emozioni immobiliari” si presenta in forma di primo studio. 

Nello specifico, il corto “Emozioni immobiliari” vuole essere il primo capitolo di una “trilogia delle emozioni urbane” sui temi del diritto alla casa, al lavoro e alla salute. 

Seppur in chiave comico-grottesca e, quindi, narrativa e non documentaristica, la ricerca e lo studio drammaturgico si basano su una raccolta di esperienze reali, vissute in prima persona o raccontate da chi, come noi, affronta quotidianamente una vita fintamente sostenibile. 

La nostra generazione, quella dei cosiddetti Millennials (coloro che sono nati/e tra il 1980 e il 1996) è cresciuta al grido di quel “hic et nunc” (qui ed ora) che politicamente le ha tolto ogni prospettiva futura, dando però ai suoi e alle sue appartenenti, l’illusione di poter seguire i propri sogni e progetti. 

Le riforme scolastiche e universitarie hanno sempre più parcellizzato lo studio così da avere l’impressione di studiare meno, ma studiare in eterno e non per il gusto della conoscenza, ma perché non sarai mai abbastanza pronto/a: ci sarà sempre un corso di formazione, un master, un seminario, un laboratorio, un nuovo titolo da acquisire… a pagamento o un tirocinio gratuito da fare, per poter lavorare. Insomma, se vuoi lavorare, devi pagare! 

Quale lavoro? Abbiamo schifato il posto fisso ed ora di fisso non abbiamo più nulla. Eternamente in bilico, nessuna certezza: contratti inesistenti, contributi inesistenti, possibilità economiche inesistenti. 

E quale banca ti accenderà mai un mutuo o quale locatore ti affitterà mai un appartamento, con questi requisiti, senza la firmetta di mamma e papà? 

Sulla salute poi il discorso è più complesso e ampio. 

Ciò che però ci preme raccontare è il crescente disagio a cui assistiamo: le strade e le piazze dei nostri quartieri (periferici e non) si stanno popolando di “zombie”: sono le vittime di tossicodipendenze che credevamo appartenenti a quegli anni ‘80 in cui, per noi che all’epoca eravamo ancora bambini/e, si concretizzavano nello spauracchio del “francobollo contenente droga” a cui fare attenzione o nelle caramelle offerte dagli sconosciuti. 

Ecco, ad oggi una semplice passeggiata col cane è diventata invece uno slalom tra le siringhe e le bottiglie e non possiamo più tacere. Ci stiamo ammalando. Ci stiamo perdendo. 

Ma la repressione non è, per noi, la soluzione e piuttosto che la volante delle forze dell'ordine che altro non può fare che spostare il flusso da una piazza all’altra (“questo tossico qua devi metterlo là” verrebbe da cantare, parafrasando una celebre canzone trash di Francesco Salvi dei primi anni ‘90) rivendichiamo un più ampio concetto di diritto alla salute e prevenzione. 

Questi i temi principali che “La trilogia delle emozioni urbane” si propone di indagare. 

Registicamente la scelta resterà sullo scenario dei giochi d'infanzia, alcuni dei quali, proprio come la campana e il gioco dell’oca, nasconderebbero significati alchemici di veri e propri viaggi iniziatici. 

L’idea è quella di creare un parco giochi, apparentemente innocuo, all’interno del quale si possano muovere i due protagonisti: una giostra infernale, dove l’unico modo per restare in equilibrio sembra essere danzare al ritmo del carillon. 

È davvero questa la soluzione? 

Ovviamente abbiamo più domande che risposte, ma, di fronte alla crescente ambiguità in cui si sfumano i contorni del bene e del male, prendiamo posizione e diamo la nostra piccola, teatrale, versione.


 

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